mercoledì 21 settembre 2011

Arietta

Qui sì che soffia un'arietta deliziosa pensai non appena varcata la soglia che separa il mio ufficio dall'officina.
La porta chiusa, noi impiegati, ci isolava dal rumore delle macchine operanti e dal suono di canti e di bestemmie. Ma ci isolava anche dal venticello che la differenza di portata d'aria tra il lato nord e il lato sud del capannone grigio, con gli infissi verderame, quell'estate produceva.
Qui sì che soffia un'arietta deliziosa pensai, e un collega da dentro urlò controvento Chiudi che qui vola tutto!
Mi scosse dall'estasi ventilata. Non feci in tempo nemmeno ad arrivare con la mano alla porta che essa in un nanosecondo e con furore si chiuse rimbombando.
Il botto fu enorme. Poi niente.
Cioè non rimase niente. L'ufficio al di là della porta era scomparso, era imploso. Era rimasta solo la porta che sventolava come un fazzoletto, tanto sbattè forte e definitiva.
Oltre la sua soglia solo la spianata di terra secca e crepata che circondava il capannone quell'estate. E le macchine parcheggiate tra l'erba degli impiegati spariti.
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